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“Coso”

- la caduta del prode destriero -

22/06/2022

15min

moto


Intro

Buonsalve lettori del mercoledì!

Oggi vi presento un mio amichetto, il “Coso”. Questo è il nome con cui chiamiamo il vespino 50cc di mio nonno, a seguito della mia scivolata in curva di qualche giorno fa sono ancora una volta pronto a raccontarvi la fantomatica disavventura con “l’imenottero a motore”.

Capita? La vespa è un imenottero, e la Vespa (moto) ha il motore… quindi è divertente no? Sono stra simpatico lo so, faccio battute molto belle :)

La storia di un prode destriero

Signori, come tutti gli eroi caduti, anche il “Coso” merita che la sua ultima battaglia venga narrata come fosse un poema epico, mi accingerò pertanto a cantare codesta vicenda con i termini più aulici nel mio vocabolario; nonostante questo possa influenzare la durata e la scorrevolezza del testo, ma un destriero caduto così nobilmente merita questo ed altro.

Disclaimer

Ragazzi, non voglio insultare nessuno ovviamente, riferimenti a persone o fatti passati sono ovviamente esagerati ai fini di rendere il tutto più umoristico, per favore non querelatemi :)

La caduta di Artax (aka “Coso”)

Correva l’anno 2021, e durante un’afosa giornata di luglio noi F. venimmo invitati, dalla mia allora consorte, a soggiornare nella sua dimora, che era fortunatamente provvista di piscina termoregolata.

Quel giorno non eravamo i soli invitati, costei infatti chiese anche alla famiglia P. di presentarsi alla sua dimora, affinché si potesse indire un torneo di tennis da tavolo.

Ma non è di questo che vorrei raccontare, bensì del tragitto dalla spiaggia alla dimora M.

Il ritrovo con la famiglia P. era allo stabilimento balneare nel quale siamo soliti trascorrere le nostre ore diurne, non fu difficile raggiungerlo.

Poiché al tempo mi impegnavo a conseguire l’esame di certificazione alla guida dei motocicli, decidemmo di intraprendere l’avventura in sella a due potenti mezzi.

Le mie unità genitoriali erano in sella alla tuoneggiante Harley Davidson di mio padre, io invece, mi accingevo a pilotare un mezzo di gran lunga più impegnativo, dalle carene di un bianco accecante, un comparto luci comparabile alle candeline poste dinnanzi alla chiesa durante Ognissanti, e soprattutto, un potentissimo motore 80cc. Credo che ormai i miei più attenti lettori abbiamo compreso di che meraviglia della meccanica si tratti, l’oggetto misterioso è infatti un ammaliante vespa 50cc del 1982 accuratamente ristrutturata e potenziata per poter sopportare il peso considerevole del mio progenitore materno.

La famiglia P.invece, decise di intraprendere un viaggio nel comfort assoluto, sfoggiarono dunque la loro Hyundai color mirtillo, adornata ovviamente da spumeggianti adesivi raffiguranti omuncoli stilizzati con annessi nomi dei membri della famiglia e rispettivi animali da compagnia.

Arrivata l’ora della partenza tentai l’accensione del mio fantastico mezzo che, ovviamente, decise di spegnersi 3 metri dopo, ma dopo qualche imprecazione e descrizioni oggettive del lavoro proprio della madre dell’inventore di codesto mezzo, il nobile destriero decise di accendersi.

Ci dirigemmo quindi verso Ortonovo, primo punto di riferimento datoci dalla padrona di casa per giungere alla destinazione. Purtroppo la strada verso Ortonovo si biforcava e proseguiva sia verso Ortonovo “alta” (detta anche centro storico, o semplicemente “Ortonovo”) sia verso Ortonovo “bassa”. Noi quindi, conoscitori del luogo, proseguimmo lungo il versante della collina fino a giungere ad Ortonovo alta, il mio prode destriero ci permise di arrivare a destinazione in un lampo! (Se per lampo si considera la durata intera del diluvio universale). Una volta ad ortonovo la nostra ospite ci disse di procedere in salita verso la cima della collina, sopraggiunse dunque un nuovo problema, Ortonovo “alta” è così chiamata poiché basata sulla cima del monte… discendemmo dunque lungo la strada appena percorsa per proseguire poi verso Casano, la attraversammo e la musa ci disse di cercare una farmacia detta “degli Oleandri” percorremmo tutta la montagna, la scavalcammo e finimmo per ritrovarci a Fosdinovo, sul massiccio seguente… per giunta senza trovare la farmacia.

Ritornammo nuovamente sui nostri passi, fino a Casano, da lì proseguimmo in una direzione differente, indicataci però da Google maps, sistema che ritenevamo più affidabile delle indicazioni di una parigina che non era a canoscenza del proprio indirizzo di residenza. Salimmo, scendemmo, curvammo, scendemmo, salimmo e curvammo ancora quando ci ritrovammo in una zona priva di segnale telefonico, quindi perdemmo sia l’aiuto della musa, che del tanto amato navigatore satellitare.

Fortunatamente accanto a noi v’era un’abitazione, notammo che le finestre erano aperte e le luci accese, suonammo il campanello implorando aiuto. Un’anima pia da uno spiccato accento belga ci venne in soccorso; il nostro arcangelo ci indicò la stella cometa da seguire, e ci annunciò la strada da percorrere per giungere alla “lapide”. Presumemmo che “la lapide” fosse il famigerato “monumento ai caduti” indicatoci tempo addietro dalla nostra ospite d’oltralpe. Seguimmo dunque le indicazioni profetiche della nostra nuova conoscenza….

Circa 7 minuti dopo ci ritrovammo dinanzi ad un tratto di innaturale pendenza, ma soprattutto dal terreno sterrato, per il suv mirtillo dei P. non era un problema, nemmeno per il tuono cromato di mio padre, purtroppo il mio cavallo bianco non era dotato di sospensioni adatte all’enduro, ma come disse un giorno colui che mi passò per primo il gene annoiato dall’arte:

è la ruota la sospensione di se stessa

Rimembrando tali parole dall’inconfutabile saggezza intrapresi questa via impervia.

Purtroppo il mio bianco destriero era ormai stremato dalle strade appena percorse, quel tratto accidentato fu come la palude della tristezza per Artax. Il nobile equino non riuscì a proseguire oltre, come Atreyu nella famosa opera, tentai disperatamente di spronarlo a continuare, ma il mio compagno d’avventura non volle ascoltarmi.

Tentammo disperatamente di ravvivare la fioca luce che persisteva in lui con un’accensione meccanica, favorita dalla forza della famosa mela, il che…. sembrava dare i suoi frutti; ma non appena Artax scorgeva la palude della tristezza frenava i sui cavalli motori e spegneva il suo fioco lume frontale diventando sempre più silenzioso fino a zittirsi completamente.

Molteplici furono i tentativi successivi, ma il risultato fu sempre il medesimo.

Come Atreyu dunque dovetti abbandonare il bianco, in favore di un passaggio concessomi dalla carrozza color mirtillo.

A bordo della bacca su ruote attraversai la palude della tristezza, raggiungemmo la famigerata lapide, che ribattezzammo in nome del mio destriero caduto. Svoltammo a sinistra e intraprendemmo una via ancor più accidentata dell’antecedente palude. (Capii quindi che il destino di Aartax fosse perciò quello di essere abbandonato dinanzi la casa di uno sfortunato belga).

Superato il secondo sentiero si parve a noi un cancello adornato da una scritta in francese che (secondo la traduzione grossolana immaginata dalla mia superba mente, avrebbe dovuto significare “Villa degli ulivi”). Una fanciulla venne ad aprirci, eravamo arrivati!

Ci godemmo il meritato pranzo, alle 3:45 del pomeriggio (purtroppo la caduta di Artax e le indicazioni imprecise ci fecero accumulare un grave ritardo), ma nessuno sembrava averci fatto caso.

Sfruttammo a pieno la piscina che ci era stata promessa e riuscii anche a vincere il famigerato torneo di tennis da tavolo.

Ma quando la sera iniziò a sopraggiungere, fummo costretti a lasciare la villa e ritornare alle nostre umili dimore.

Il mirtillo mi riportò alla magione del profeta ove ritrovai il corpo del mio destriero, avevo riflettuto a lungo sul motivo del suo improvviso cedimento muscolare, decisi quindi di avvitare la manopola della riserva di carburante, e come per magia Artax ritrovo un briciolo di forza.

Seguirono quindi le imprecazioni dei rispettivi patriarchi F. e P. che avevano tentato con tutte le loro forze le innumerevoli accensioni precedentemente raccontate.

Ammisi dunque di aver dimenticato di foraggiare il mio destriero quella mattina ma non avrei mai creduto che avrebbe portato a tali conseguenze.

Riuscii a raggiungere la mia modesta abitazione e concessi al bianco insetto la sue meritata cena idrocarburica.

Mi addormentai sfinito e presi una decisione, non avrei mai più sforzato Artax fino a tal punto. 5 giorni dopo infatti, intrapresi una nuova avventura che mi permise di cavalcare la sella di un nuovo destriero dal pelo color del cielo notturno. Un mezzo di gran lunga più potente di Artax, il quale si gode tuttora la meritata pensione.

Conclusioni

Signore, signori, bambini, giovani e persone d’ogni età; spero che questo poema cavalleresco possa rimanere nei vostri cuori come la voglia di rottamare il “Coso” si è cementificata nel mio.

#rottamiamo_il_Coso


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